Sisife non amava la luce. Quando era una bambina su S4O12 trascorreva le giornate nel profondo delle miniere con un cesto sulla schiena. I minatori adulti gettavano il raccolto di carbone nella cesta quando Sisife passava durante il suo giro di ronda dei tunnel. Una volta che la cesta era piena, o la sua schiena non reggeva più il peso, o entrambe, Sisife percorreva la scalinata e usciva nello spiazzo per svuotare la cesta nella grande fossa di raccolta.
Odiava stare all'aperto. La luce le bruciava gli occhi e, se li teneva chiusi, non sapeva dove andare. Una volta era inciampata su un sasso e aveva sparso il carbone a terra. Il sorvegliante le aveva dato molti calci. Tutta colpa della luce.
Sisife era nata nel buio della miniera e nel buio della miniera sarebbe morta, così le dicevano sempre i suoi genitori e i suoi fratelli più grandi. Lei ci credeva. Ma questo era prima che arrivasse Rutelia.
Si erano incontrate il giorno che il sorvegliante aveva preso a calci Sisife. Rutelia era stata l'unica ad aiutarla ad alzarsi. Da quel momento, divennero amiche: mangiavano assieme i due pasti della giornata e dormivano vicine. Rutelia era entrata nella miniera come semplice lavoratrice, scaricata da un cargo interplanetario assieme a una folla di persone perché sostituissero i tanti, troppi minatori morti nello scorso mese. Rutelia mangiava, dormiva e lavorava come tutti gli altri. Ma nelle pause tra un turno e l'altro, prima di coricarsi o durante un pasto, raccontava storie a Sisife.
Anche gli abitanti di S4012 le raccontavano storie. Ma erano barzellette sporche, racconti del terrore sulle miniere buie, o pettegolezzi. Il più delle volte erano le barzellette sporche, che a Sisife non piacevano molto. Rutelia invece le parlava della vita sul pianeta dal quale veniva. Là non erano necessario lavorare 16 ore al giorno per ottenere le razioni; non erano i baroni delle miniere a comandare senza aver mai lavorato un giorno della loro vita; e non c'erano sorveglianti a picchiarti.
"Com'è possibile?" aveva chiesto Sisife a Rutelia.
"I cittadini di quel pianeta hanno capito che chi comandava lo faceva male, e che loro assieme erano molti di più dei baroni e dei sorveglianti" le aveva risposto calma Rutelia.
"Ma perché sei qui tra noi allora? Perché non sei rimasta?"
Rutelia era rimasta pensierosa. Poi le aveva risposto molto seria.
Perché anche per voi è giunto il momento, le aveva detto.
Fu allora che Rutelia mostrò per la prima volta a Sisife il tatuaggio che aveva sul braccio. La stella a otto punte. Il marchio della forza liberatrice della quale Rutelia era una predicatrice.
Il caos, le aveva spiegato. Che libera, che scaccia l'aquila tormentatrice, che fa tornare gli esseri umani veri esseri umani.
Dopo quella volta Sisife si accorse che c'erano tanti come la sua nuova amica che raccontavano storie simili. Erano attenti a non farsi scoprire dai sorveglianti o da troppi minatori tutti assieme, ma Sisife ormai *sapeva* e lasciavano che lei si unisse agli accrocchi di ascoltatori o che vedesse il loro tatuaggio. C'erano tante persone come Rutelia a raccontare la storia di quell'altro mondo. Sisife non capiva mai quale fosse esattamente il nome di questo pianeta. Non lo dicevano mai, quei predicatori.
Erano bravi a farsi ascoltare. I minatori erano gente arida, selvatica, stanca. Non avevano le energie per pensare. Ma i predicatori tiravano fuori un pezzo di pane o una gamella di razione liquida e te le offrivano, se ascoltavi mentre mangiavi. Tutti si fermavano. E molti restavano anche dopo aver finito il boccone ricevuto. A quel punto non avevano più fame di cibo. Volevano anche loro un giorno di vita in quel pianeta paradisiaco. Volevano vederlo. Volevano toccarlo.
Se lo volete, dissero un giorno i predicatori, non avete che da fare una cosa.
Che cosa, chiesero i minatori di S4O12?
Prendervelo, fu la risposta.
Avvenne tutto in una sola notte. Divisi in gruppi, ognuno guidato da un predicatore, i minatori che sognavano quell'altro mondo si alzarono e, in silenzio, si riempirono le mani con i loro attrezzi. Di notte i sorveglianti chiudevano le porte delle miniere perché nessuno provasse a fuggire. Ma i minatori avevano scavato dei tunnel segreti che usarono per uscire. Scesero dalle colline e inondarono gli accampamenti dove i sorveglianti vivevano.
Quante urla di gioia e di rabbia, quella notte. I sorveglianti erano pochi. La maggior parte morì nel sonno con la testa fracassata da una pala. Quelli che si svegliarono videro la folla e si gettarono a terra supplicando. Li massacrarono tutti, loro e le loro famiglie di bimbi grassi e donne ben vestite. Poi diedero fuoco alle loro case.
Sisife era in prima fila accanto a Rutelia quella notte. Era il giorno del suo tredicesimo compleanno, aveva confidato a Rutelia. L'amica l'aveva voluta con sé a guidare la folla.
Era stata Sisife la prima a scavalcare la recinzione dell'accampamento dei sorveglianti. Lei aveva sfondato con un calcio la prima porta, infiltrandosi nella casa del sorvegliante che l'aveva presa a calci il giorno in cui aveva conosciuto Rutelia. Sisife gli spaccò le gambe, poi uccise la sua famiglia davanti ai suoi occhi. Infine uccise lui e diede fuoco alla sua casa.
Era esausta, coperta di sangue, assordata del crepitare del fuoco e dalle urla della folla. Rutelia l'aveva presa da parte, l'aveva abbracciata, avevano pianto assieme. Poi con molta delicatezza le aveva disegnato sulla fronte la stella a otto punte con un pezzo di carbone.
Poche ore prima dell'alba, quando la battaglia era stata vinta e il barone della loro miniera era stato impiccato nello spiazzo, Sisife e Rutelia erano salite sulla collina che dominava la miniera. L'orizzonte notturno era puntellato di luci rossastre. Le altre miniere, le dozzine che sfregiavano S4012, stavano bruciando tutte. Quella che a Sisife era sembrata la lotta di un pugno di furiosi era una ribellione planetaria. C'era una bella luce, quella notte.
"Ho capito qual è il pianeta di cui mi raccontavi" disse Sisife spezzando il silenzio della loro contemplazione.
"E qual è?"
"È questo. È sempre stato questo. Solo che non lo sapevamo."
Quella notte, Sisife divenne una predicatrice. Si disse che non avrebbe più avuto paura della luce.
Poi sul corridoio della Madrigale quella sfera di metallo era rotolata accanto a lei ed era esplosa mentre lei ricaricava il fucile laser. Una luce bianchissima, accecante. Gli occhi le bruciavano, stava piangendo, li strizzava, ma vedeva solo bianco. Come quel giorno allo spiazzo quando era caduta e il sorvegliante l'aveva picchiata.
Sisife si alzò tenendosi alla cassa dietro la quale si era riparata, ma inciampò su Rutelia e cadde. Udì dei passi. In mezzo al bianco, quel bianco che bruciava, c'era una macchia nera. Camminava verso di lei, Sisife lo capì dal rumore degli stivali.
Il pavimento della nave era coperto di sangue. Lei, Rutelia e la loro squadra si erano barricati in mezzo al corridoio, pronte al peggio. Nomax li aveva avvertiti tramite vox che uno degli invasori si stava muovendo nella loro direzione, prima che la comunicazione si interrompesse con uno sparo. Rutelia aveva caricato il fucile e aveva stretto un'ultima volta la mano di Sisife, che si era messa a piangere. Attorno a lei i suoi compagni di lotta caricavano le armi: Karpaz, Amilcare, Lulu, e tutti gli altri. Erano tanti. Si guardavano le spalle. Le davano sicurezza.
"Quel pianeta" aveva incominciato Rutelia, e Sisife aveva sorriso come solo la sua amica sapeva farla sorridere. Poi c'era stato quel piccolo scoppio e la testa di Rutelia si era rotta in due pezzi. Urlando mentre il corpo della sua amica si accasciava su di lei, Sisife si era nascosta dietro la cassa. Aveva intravisto una forma nera in fondo al corridoio, il luccichio di una pistola laser ancora calda.
La sfera di metallo era esplosa in mezzo a loro e tutti avevano urlato sotto una piccola raffica di colpi laser. Accecata, Sisife aveva sentito le urla dei suoi amici spegnersi una dopo l'altra, seguita dai tonfi dei loro corpi che si accasciavano a terra. Poi silenzio e il rumore sordo degli stivali.
Il bianco accecante stava sparendo. Il corridoio c'era di nuovo, e in mezzo una persona vestita completamente di nero senza volto. Una silhouette. Una macchia. Sisife non sapeva se era davvero nel corridoio della Madrigale, quella che era diventata la sua casa, o se era ancora su S4012. Forse era nello spiazzo e aveva fatto cadere il carbone, forse quella persona era il sorvegliante che veniva a picchiarla. Sisife ripensò a quella notte, quella faccia, il figlio del sorvegliante, le urla, il sangue.
"Mi dispiace!" urlò Sisife. "Tornerò nella miniera, lo giuro! Lo giuro!" Prese fiato per urlare un'altra supplica in mezzo ai singhiozzi. Un colpo laser forò il suo cranio.
La persona che aveva sparato era un uomo. Indossava una tuta nera di sintopelle che gli copriva anche il viso. Si assicurò di essere solo nel corridoio. Si sfilò la maschera dal volto e prese una grande boccata d'aria. Era sudato e stanco.
Diede uno sguardo ai due corpi. Una donna di mezza età, morta sul colpo per la perdita del lobo frontale. Dalle decorazioni dell'abito doveva essere una figura di comando nella cellula cultista. L'altra era molto più giovane. Gli sembrava un'operativa. Aveva il marchio tatuato sulla fronte. La parte di lui che non lo aiutava sul campo di battaglia, quella che generava incubi e rimorsi, registrò che l'operativa non aveva forse neanche vent'anni. Distolse lo sguardo. Ricaricò l'arma.
Il ricevitore vox nel suo orecchio vibrò.
"Aquila, rosa rossa." Era Anthares che parlava con il Glossia, il suo codice criptato.
"Spina spina tagliate. Osservo il sentiero."
Un'altra trasmissione entrò nel canale. "Riunisciti al gruppo." Era Sarina, ovviamente, e per niente propensa alle sottigliezze del Glossia.
"Negativo. Percorso di ricongiungimento non permette," mentì lui.
"Sicarius, sei troppo lontano. Non riesco a percepirti. Riunisciti."
"Occhio, silenzio" la interruppe Anthares. Sicarius le fu grato, suo malgrado. Approfittò del momento di silenzio per chiudere la comunicazione. Si rimise il cappuccio, controllò l'arma un'ultima volta e riprese l'esplorazione. C'erano ancora tanti eretici su quella dannata nave.
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